“Piangi! Dai, cazzo, non è così complicato, piangi e basta… La gente normalmente dopo aver pianto sta meglio con sé stessa, e tu in questo momento hai mille cose per la testa. Quindi ora, per stare bene, piangi… E datti una mossa, ci stai provando da almeno un’ora, non può essere così difficile… fallo!” – ore 20:57
“Niente, non ci riesco… Credo sia perché dev’essere spontaneo… Allora perché il mio cervello mi dice che devo piangere? Cosa sta cercando di comunicarmi…” – ore 21:01
“Ehm… Era da un po’ che non ti vedevo, ma esordire così mi fa preoccupare e non poco… Fa’ un bel respiro, bevi un po’ d’acqua che probabilmente sei leggermente disidratato e, magari… Mi vuoi spiegare come siamo arrivati a questo punto?”
Bisogna perdersi per ritrovarsi
Non saprei spiegarlo con esattezza, ma riesco sempre a dimenticarmi di qualsiasi cosa. Però, non riesco mai a dimenticare quelle volte che ho visto piangere qualcuno, o anche quelle volte in cui quello che piangeva ero io.
So che, come argomento, quello del pianto può essere facilmente associato alla tristezza, e per questo motivo molti probabilmente hanno già lasciato questo articolo e non andranno oltre. Non li biasimo, del resto la tristezza è il sentimento che non porta a nulla online. Per chi vuole approfondire la parentesi sul “Cosa rende un contenuto virale”, qui può trovare alcune risposte, per tutti gli altri che vogliono sapere perché il piangere è un arte… Prego, preparate i fazzoletti.
Stamattina – ore 08:50 circa – , quando mi sono svegliato, mi sentivo particolarmente… vuoto. Era da tanto che non mi capitava, ma ero nel mood assoluto dell’#ogginonmivapropriodivivere (e dire che ho aperto questo blog perché volevo essere una fonte d’ispirazione 😃)
Mando un sondino al cervello, ma non ricevo risposta. Sciopero assoluto, il nulla più totale, un vuoto equivalente alla forza di 390 buchi neri. Di solito, per riprendermi, basta iniziare la mia routine di lettura e studio, e poi la mente parte in automatico. Ma oggi non ha funzionato.
Per farti capire quello che stavo provando (o non provando), era una sensazione paragonabile a quando ti rendi conto di aver perso gli ultimi 20/30 minuti della tua vita guardando reel o TikTok che non ti hanno lasciato niente. Ecco, provavo quel tipo di senso di colpa, solo che non avevo perso tempo fino a poco prima, ma mi ero semplicemente svegliato.
In quei momenti, quando devo dare un valore al tempo trascorso, in genere passo circa 60 secondi in silenzio e provo a focalizzarmi sulle cose che devo fare. Una volta che ho in mente le cose che farò, le faccio.
È sempre meglio perdere un minuto di tempo per ordinare le idee, per poi avere la testa più leggera e focalizzata su un obiettivo specifico, così da guadagnare tempo, invece di perderlo. Questa è una tecnica che uso sempre quando perdo l’attenzione, e mi serve per dare un valore al tempo. Ha sempre funzionato… ma non oggi.
Andy e le ali della libertà
“Devi smetterla di saltare da un argomento all’altro come ti pare e piace. Prima inizi dicendo che la sera hai pianto, poi spieghi che ti sei svegliato sentendo un vuoto… stai forse cercando di dirmi che hai pianto perché hai visto “Le ali della libertà”? Perché se è così, allora è tutto normale, e mi hai solo fatto venire voglia di rivederlo”
Una delle cose che rende unico questo film è che la storia ha un inizio, uno sviluppo e una fine, mentre il protagonista, il grande Andy Dufresne, rimane praticamente sempre lo stesso. Si adatta sempre al contesto in cui si trova, senza però mai farsi spezzare o piegare dagli eventi.
Attenzione, questo non vuol dire non crescere o non cambiare. Il semplice fatto di rimanere sé stessi, anche nei contesti più complessi come quello della prigione, indica una grande forza d’animo e la capacità di sapersi imporre e non piegarsi alla volontà degli altri.
Parentesi sulla forza d’animo a parte, volevo parlare da tempo di Andy Dufresne, e di quella fantastica scena in cui alla fine piange di gioia.
Questa sera ho frainteso un messaggio che il mio cervello stava cercando di comunicarmi. Non mi stava chiedendo di piangere, ma di liberarmi e di sfogarmi. Abbiamo tutti dei momenti di vuoto, in cui non riusciamo a provare nulla, se non una sensazione di nulla che… semplicemente non si può descrivere. Ci sto provando da quasi due ore a spiegarla, ma non sono ancora riuscito a trovare le parole per farlo.
Evey e V per Vendetta
“Ammazza, oggi andiamo proprio potenti sulla scelta dei film. Non dico di rivedere un cinepanettone, ma anche una cosa più leggera… ma anche un Hercules, che almeno c’erano le muse che di tanto in tanto ti sparaflashavano certi colori e certe musiche… Non ce la faccio, troppi ricordi… Mi viene da piangere al solo pensiero.”
Seguimi un attimo e giuro che presto ti sarà tutto chiaro. Come mai dopo aver parlato di Andy Dufresne, parlo di Evey Hammond, una ragazza che ha un inizio, uno sviluppo e una fine… anche qui con una scena in lacrime?
Un inizio, uno sviluppo e una fine… Evey era una ragazza come tutte le altre, che è stata messa di fronte a delle difficoltà, ha trovato la forza di lottare, di andare avanti e di piangere. Nel fumetto lei dice addirittura di sentirsi come un angelo, e quando vedo quelle mani in aria ripenso proprio alla scena in cui anche Andy Dufresne spicca il volo con le sue ali, verso la libertà.
“Guarda… Sul fatto di aver collegato due film che non c’entravano nulla, mi hai convinto. Ma tutto questo come si collega all’inizio? Hai pianto sì o no?!”
Inizio, sviluppo e fine
Non c’era verso di piangere in automatico. Stavo cercando di dare un senso a quella sensazione di vuoto che provavo da stamattina, e l’unica risposta che ricevevo dal mio cervello era: “Piangi, almeno potrai smettere di sentirti così vuoto”. Quando poi ho pensato a Evey e ad Andy, alla fine ho capito.
Le loro lacrime non erano il punto di fine dei loro personaggi, di quando si spengono i riflettori e si concludono le loro gesta. Quelle lacrime non segnavano il momento in cui finivano di essere prigionieri, di essere vuoti, e poi di essere finalmente liberi. Quelle lacrime, in realtà, segnavano il momento in cui se ne sono resi conto.
C’è un’enorme differenza tra il compiere un cambiamento o un atto, come la crescita o un miglioramento, e il momento in cui ti rendi conto che quel cambiamento è arrivato. Molto spesso siamo persone migliori rispetto al passato, ma a volte non ce ne rendiamo conto.
Avevo bisogno di fermarmi un attimo e di guardare quanta strada avevo fatto, di realizzare quanto ero cambiato negli ultimi mesi, se non addirittura anni. Avevo bisogno di fermarmi un attimo per dare un valore alla strada percorsa fino a questo momento, così da poter dare un senso alla strada che farò in futuro.
Mi sono preso un attimo per pensare a quanta strada ho fatto finora. Ho dedicato a me il tempo di cui avevo bisogno per realizzare dove sono arrivato e poi ho buttato fuori tutto quello che avevo dentro. “Ce n’è di strada da fare” mi sono detto, ma avevo bisogno di dare un valore a quello che ho fatto fino ad ora, altrimenti non avrei trovato la forza per continuare a farlo in futuro.
“Quindi si… alla fine ho pianto. Ma non perché continuavo a dirmelo, ma perché finalmente ho sentito qualcosa dentro che mi ha fatto venire voglia di piangere.” – ore 23:47