“Senti, sono due settimane che non scrivi un articolo. Torna a dormire, che sono le 4 di notte, e non farmi diventare come l’armadillo, che sennò qua altro che successo…”
Quando ho aperto questo blog, un mese fa, ho pensato che avrei potuto usarlo come valvola di sfogo, uno spazio dove potevo dire la mia, fare tutto quello che voglio perché qui è come se fosse casa mia. Ma dopo circa 395 millisecondi, ho capito che, in realtà, considerare ciò che faccio io come una cosa che ha un impatto solo su di me… era un enorme errore.
Tutte le nostre scelte hanno delle ripercussioni su altre cose che non possiamo controllare. Non voglio soffermarmi troppo sulle conseguenze delle nostre scelte, perché se dovessimo pensare che ogni scelta che prendiamo avrà delle ripercussioni sugli altri, ogni volta che dovremmo prenderne una saremmo paralizzati.
Se provi a pensare a tutte le conseguenze delle tue azioni non solo finirai per non prendere decisioni per paura degli eventi, ma faresti anche un errore, perché banalmente non possiamo prevedere o controllare ogni cosa. Quindi basta con le seghe mentali e fai quello che devi fare.
“Dovevi fare il mental coach. Prima crei il problema e poi ti fai pagare per dare la soluzione”.
La voglia di avere successo ci schiaccia
Il concetto delle conseguenze e del peso che hanno sulle nostre scelte è un argomento che viene trattato spesso da Zerocalcare, sia nei fumetti, sia nella sua serie Netflix “Strappare lungo i bordi”. Quando si parla di azioni, di quello che facciamo e delle conseguenze che esse hanno, mentre il protagonista si sente tutto il peso del mondo addosso, la serie gli ricorda che noi siamo solo dei fili d’erba, e dovremmo vivere gli eventi con maggiore serenità.
È importante ricordarlo quando prendiamo qualcosa troppo sul serio, o ingigantiamo i fatti in una maniera tale da autosabotarci e farci schiacciare sotto un masso gigante che noi stessi abbiamo creato. Troppi problemi mentali… che oggi, secondo me, hanno di gran lunga superato quelli reali.
Sicuramente ci vorrà più di un articolo per sviscerare questo problema, però vorrei parlarti di come a volte ci sentiamo obbligati ad avere successo in qualsiasi cosa noi facciamo, ogni santo giorno. Tutti ci dicono che dobbiamo eccellere per distinguerci dalla massa, che dobbiamo essere i migliori altrimenti non siamo nessuno, e cose così.
Questo, a lungo andare, alimenta un’illusione, perché noi non saremo mai i migliori e non c’è un momento in cui si decide quando lo si diventa. Abbiamo creato una gara in cui non vince chi arriva al traguardo, ma chi sopravvive più a lungo e non muore prima, un po’ come uno Squid Game, tanto per restare in tema di serie su Netflix.
Per dare una soluzione, o per provare almeno a guardare il problema da un altro punto di vista, voglio raccontare la storia di Albert prima che diventasse l’Einstein che tutti noi conosciamo.
Il peso è relativo
“Ehi, non toccare Albert Einstein! Lui è un’istituzione, un monumento nazionale. Se non fosse per lui, oggi non avremmo Doc di Ritorno al futuro e soprattutto non avremmo Rick Sanchez di Rick e Morty!”
La storia di Albert Einstein è molto più umana di quanto non sembri, e voglio raccontarla attraverso gli eventi che sono accaduti prima che diventasse famoso, e non continuando a pensare a lui come un genio assoluto che ha avuto successo sin da subito:
- Dopo l’università, Albert non riesce a entrare nel mondo accademico, nonostante avesse tutte le carte in regola per farlo, e inizia a lavorare in un ufficio brevetti per mantenersi grazie alla raccomandazione di un suo amico.
- Nel 1905 pubblica 4 articoli che rivoluzioneranno per sempre il mondo della fisica… peccato che nessuno li prese particolarmente in considerazione quando uscirono e non accadde nulla di particolare di lì a pochi anni.
- Nel 1907 ha una illuminazione sulla relazione tra accelerazione e forza di gravità dopo aver visto un imbianchino cadere da un’impalcatura.
- Nel 1911 riesce finalmente ad entrare nel mondo accademico.
- Nel 1915, dopo una corsa contro il tempo a chi sarebbe riuscito a dimostrare per primo la teoria della relatività generale, riesce ad ottenere il prestigio che merita, anche se viene battuto sul tempo da David Hilbert, uno dei più grandi matematici dell’epoca.
Anche Albert ha dovuto fare i conti con la realtà, e ha dovuto dimostrare più e più volte che le sue teorie fossero fondate. Spesso ha dovuto chiedere aiuto a un suo collega universitario, Marcel Grossmann, che, poverino, nessuno s’incula, visto che tutti vogliono pensare ad Einstein come un genio infallibile.
Ora, non voglio sminuire la sua figura. Indubbiamente, è stato un uomo che ha avuto un forte impatto sul mondo, ma pensatela al contrario. Albert è diventato Einstein non perché voleva essere il migliore o perché voleva superare tutti gli altri e distinguersi dalla massa. Einstein ha avuto successo perché ha pensato a fare quello che voleva fare, e basta.
Non ha portato il peso del mondo sulle spalle, non ha voluto avere la presunzione di voler essere ricordato come il migliore. Lo è diventato, è stata una conseguenza delle scoperte che ha fatto, e non perché voleva diventarlo. È successo e basta.
“Devo dire che mi aspettavo una fine diversa, ma chi sono io per giudicare…”
Grazie mille per essere arrivato fino a qui. Ci tengo a raccontare queste storie non tanto per un ritorno in qualcosa (anche perché per ora ci sto solo rimettendo…), ma perché spero che tutto questo possa ispirarti. Mi aiuta a raccontarmi, dato che in ogni articolo c’è un pezzo di me (non la canzone), e spero aiuti anche te, in qualunque modo.
Per ora, però, ti saluto e ti annuncio che ho creato una newsletter, così da poter leggere gli articoli appena escono.
Ci vediamo presto e non pensare troppo a inseguire il successo: a volte, l’idea della vita può arrivarti mentre vedi un imbianchino cadere.