Per il secondo martedì di Ottobre ci tenevo a fare un omaggio ad Ada Lovelace, una delle donne che forse più di tutte ha cambiato il mondo per come lo conosciamo. Grazie a lei furono creati i primi algoritmi per delle macchine futuristiche e tanta innovazione e cultura che, se si fosse attuata, adesso saremmo nel 3000.
Ma questo articolo non parlerà di lei.
“EVVIVA! Anche perché sono passate due settimane da quando l’avresti dovuto scrivere. Ti sei reso conto che parlare di cose pesanti è una roba complicata, eh? Oooh… adesso parla di una roba leggera leggera, che qua tutti noi abbiamo giusto quei cinque minuti e poi via, che altrimenti non ho tempo per farmi i cazzi degli altri su BeReal.”
Sento il bisogno di raccontare e di dover aggiungere qualcosa di mio nei racconti che sto scrivendo, non tanto per una questione di farmi conoscere o altro… Ma perché, altrimenti, questo blog non avrebbe senso.
D’altronde la definizione di blog sta proprio in questo, e mi avvalgo della definizione che dà il dizionario: “Sito web personale concepito principalmente come contenitore di testo (per es. come diario o come organo di informazione indipendente), aggiornabile dal singolo utente in tempo reale grazie ad apposito software.“
Pensa anche al profilo Instagram dei tuoi amici, o a quello degli influencer in generale (non faccio troppi distinguo, perché ormai tutti si credono influencer al giorno d’oggi). Tutti, quando devono pubblicare qualcosa, mettono la propria immagine, perché è il loro profilo. Tu non vai sul profilo di Diletta Leotta per vedere Michelle Hunziker (si potevano fare esempi migliori, ma il concetto è chiaro).
Quello che voglio dire è che tutti possono dare qualcosa di diverso, tutti sono già influencer in qualche modo. Quello che cambia è il numero di persone con cui ci interfacciamo. Io fino ad ora mi sarò interfacciato con un massimo di 393 persone, ma non voglio influenzare nessuno. Voglio solo raccontare delle storie, e, per farlo per bene, devo anche dare un’opinione personale.
La mia opinione al momento è che ignoriamo tante cose importanti e ci soffermiamo troppo su delle cavolate, e questa cosa dovrà cambiare prima o poi.
“Ma buongiorno, questo discorso lo sento costantemente anch’io, fin da quando sono nato. Ogni volta tutti dicono che stiamo sbagliando qualcosa, che dobbiamo migliorare, che dovremmo questo, che potremmo quello, eccetera eccetera… Tante belle parole.”
Appunto… Parole. Come quelle che scrivo io e che tu leggi. Al momento non ho un altro strumento per comunicare e fare rumore, ma quello che posso raccontare al momento è una storia, ed è quello che farò.
Non racconterò quindi la storia di Ada Lovelace (quella su cui dovevo scrivere all’inizio, ricordi?), ma quella di Wanna Marchi. Grazie Netflix per l’intrattenimento quotidiano che ci offri, ma la storia della più grande venditrice italiana deve essere conosciuta, capita e interpretata. Lei è la regina della vendita… e la regina del rumore.
“Vado a prendere i popcorn… Oddio, al massimo, ho un pacco di Croccantelle formato maxi. C’è davvero chi mangia i popcorn a casa al giorno d’oggi?”
Anni ’80 – Il Wanna Marchi Show
Quando si fanno viaggi mentali nel tempo, nella mia mente si crea anche un sottofondo musicale con la musica tipica dell’epoca. Tra le più conosciute degli anni ’80, sicuramente ricorderai Sweet Dreams, Take On Me… mentre in Italia c’era Totò Cutugno con la sua Innamorato.
Siamo nei primi anni delle piccole emittenti televisive private, e gli enti per mantenersi hanno varie strade tra cui scegliere. Finanziamenti privati, spazi pubblicitari… ma ciò che univa intrattenimento e guadagno era una serie di momenti all’interno dei vari programmi, dedicati alla vendita di prodotti.
Facciamo un esempio: durante i programmi televisivi, tipo Bim Bum Bam, c’erano dei momenti in cui vedevi il conduttore fisicamente spostarsi in una stanza dello studio per dare un messaggio promozionale. In prima serata c’era il film con i normali stacchi pubblicitari (che duravano più del film, porco Giuda), e poi… arrivava la seconda serata.
Molte piccole emittenti private facevano molto affidamento alla sola, pura e semplice televendita, dove normalmente c’era una persona che ti urlava di comprare un prodotto, e tu lo facevi. Fine. Niente di più, niente di meno.
“Eravamo persone semplici… ora, invece, il marketing ha rovinato tutto. Almeno secondo me. Voglio meno giochi di parole e più Giorgio Mastrota che vende carri armati e materassi!”
Rete A, quella che oggi si è trasformata in Deejay TV e Radio Deejay, aveva nel proprio palinsesto la regina della televendita. Ovviamente consiglio di guardare la serie TV per capirne di più. Quello che farò io è mettere in evidenza ciò che lei faceva, come venditrice, e come noi ci siamo comportati, come consumatori.
Lei vendeva e basta. Una cosa che adesso è inconcepibile, perché il mondo è cambiato radicalmente (e meno male, aggiungerei). Per farti entrare nei panni di una persona che guardava una televendita all’epoca, pensa a quello che accade oggi quando devi comprare un prodotto:
- Vedi un prodotto;
- Cerchi e confronti su internet alternative, recensioni e prezzi migliori;
- Lo compri dove ti sembra più conveniente in base alle tue esigenze.
In un mondo senza internet, invece, bisognava togliere la fase del confronto e rivedere quella della convenienza, per sostituirle in un unico passaggio: “Convincimi a comprare e non vedrò nessun motivo per non farlo“.
Da lì, tutti i venditori ti dicevano di comprare un prodotto perché era magico, perché ti avrebbe cambiato la vita, perché ti saresti chiesto: “Come ho fatto a vivere senza fino ad ora?”. Non si vendevano sogni, ma solide realtà (no, aspetta… non era mica l’Immobildream, quella…?)
Come ha fatto Wanna a distinguersi in un questo mondo dopato e pieno di euforia? Aggiungendo un semplice passaggio. Anche lei ti diceva che comprando i suoi prodotti (nel suo caso specifico, trucchi e cosmetici in generale) avresti avuto una vita migliore e tutto sarebbe andato alla grande, ma prima si soffermava a sottolineare quanto la tua vita fino a quel momento fosse stata triste, infelice e che non saresti mai riuscito a realizzare i tuoi obiettivi. A meno che…
“… Cosa? A meno che… cosa?”
A meno che non avessi comprato i suoi unici e fantastici prodotti. Non si limitava a dire a una donna che sarebbe diventata più attraente, ma che fino ad ora non lo era mai stata e che in fondo lo sapeva anche lei… Perciò, faceva leva sulle insicurezze, una tecnica molto utilizzata ancora oggi nel marketing.
La ricetta era questa: bisognava prima tirare fuori tutte le paure e le incertezze, per poi mostrare un prodotto miracoloso che avrebbe fatto sparire quella paura per sempre. Wanna aveva capito che siamo disposti a comprare e pagare qualsiasi cifra per ottenere ciò che vogliamo realmente: far sparire le nostre paure ed esaudire i nostri sogni.
“Quindi, se Roberto Carlino oltre a venderci sogni, avesse fatto più leva anche sulla paura di non avere una casa… dici che saremmo riusciti ad evitare la crisi del 2008?”
Gli anni ’80 finiscono, Wanna continua a fare quello che sa fare meglio, anche con le creme dimagranti, e dopo insulti, minacce e varie frodi, va in carcere per due anni. Adesso c’è bisogno di un po’ di fortuna.
Anni ’90 – Le donne della Fortuna
Si apre un nuovo capitolo per Wanna dopo il carcere, ed è proprio negli anni ’90 che la regina delle televendite italiane decide di vendere qualcosa che nessuno aveva mai a provato a vendere in televisione: la fortuna e i rimedi contro il malocchio.
“Minchia… In un paese di ludopatici come il nostro, poi… jackpot! Battuta assolutamente involontaria, giuro”
La truffa (perché ormai non parliamo più di vendita) era divisa in due fasi:
- Compravi la fortuna e dei biglietti del superenalotto, sicuri al 100%
- I numeri che avevi giocato non erano usciti, ma non perché i numeri erano scritti a cazzo, ma perché avevi il malocchio…
Senza andare troppo nel dettaglio, tra l’acquisto della fortuna e dei rimedi contro il malocchio, in circa 10 anni, le cifre della truffa si aggiravano intorno ai 33 milioni di euro (parlo di euro perché la sentenza finale c’è stata nel 2008).
Anni “20 – Il Buco
Nel 2020, Netflix fa uscire un film abbastanza controverso, chiamato Il Buco, un film che racconta un sistema di prigionia dove i detenuti si autogestiscono.
“Aaaaah lo ricordo quel film, alla fine la metafora era tipo: i ricchi fanno il cazzo che gli pare e i poveri devono stare muti, perché se anche loro fossero ricchi, si comporterebbero nello stesso modo, quindi non sono le persone il problema ma è il sistema che va cambiato. Ho capito bene, o mi devo rileggere le recensioni degli altri?”
Tra i vari personaggi di questo film, c’era un personaggio, Trimagasi, che era cascato nella trappola di Wanna Marchi. Ovvero, aveva comprato un prodotto che non gli serviva, ma che gli avrebbe reso la sua vita migliore. Nel suo caso, un coltello che taglia tutto, il coltello Samurai.
L’ingenuo Trimagasi è una persona come tante altre, e dopo aver comprato il suo nuovo coltello è felice di poter tagliare tutta la frutta che vuole (immagino le televendite alla Miracle Blade… Grande Chef Tony). Ma poco tempo dopo, il nostro caro Trimagasi lancia dalla finestra il televisore dopo aver visto una pubblicità, uccidendo un passante.
Cosa avrà mai visto il nostro povero Trimagasi, tanto da spingerlo a gettare via la televisione in uno scatto d’ira?
La pubblicità del nuovo modello del coltello taglia tutto: il Samurai Plus.
Il fondo
“Eh… Arriviamo al punto, che mi aspettavo un articolo leggero, e invece mi hai illuso un’altra volta…”
In questo articolo, ogni riferimento a oggetti o cose realmente esistenti è puramente volontario, e ogni volta che compriamo qualcosa siamo soggetti a frustrazione. Quella che arriverà quando uscirà il nuovo modello, un’espansione, un sequel… Insomma, se la vendita iniziava e finiva con l’acquisto, ora è un processo senza fine.
Wanna ci ha insegnato che la fortuna non si può comprare, ma noi, in fondo in fondo… continuiamo a comprare in attesa di trovarla.